La luce nell'Arte
La natura rarefatta ed impercettibile della luce diventa, attraverso i secoli, di importanza cruciale nell’invenzione e nella realizzazione dell’opera d’arte.
La luce rivela gli oggetti, le cose, la realtà, definisce assieme alle ombre il corpus organico dell’elemento rappresentato. Si pensi alla rivoluzione in capo a Caravaggio, che ha tentato con forza di strappare i corpi dall’oscurità; ma anche al Guercino, che nella sua maturità inonda i suoi personaggi di una luce eterea.
La luce in quanto strumento utile alla rappresentazione pittorica di un’opera, nell’età moderna e contemporanea diventa figura di primo piano, si insidia gradualmente nel concetto stesso dell’attività artistica fino a diventare protagonista indiscussa.
Ogni esperienza artistica è espressione del suo tempo.
Impossibile immaginare di condensare in poche righe questo tema, tratterò di alcuni artisti che hanno segnato il passaggio di un’era attraverso le loro opere ben conscio che illustrare un’opera d’arte non deve essere spiegazione di quello che si vede, ma rivelazione di quello che non si vede.
Genio e sregolatezza è il binomio che più si addice a descrivere la parabola artistica ed esistenziale di uno dei pittori più celebri del XVII secolo, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, i cui dipinti, caratterizzati da un profondo realismo e da un uso scenografico della luce, esercitarono un’enorme influenza su intere generazioni di artisti europei.
Nel suo Davide con la testa di Golia, il giovane eroe biblico sbuca dall’oscurità subito dopo aver reciso la testa del gigante filisteo,che esibisce come un macabro trofeo. David ha le sembianze di Francesco Boneri, garzone di bottega del Merisi, e la luce sembra enfatizzarne il gesto trionfale e lo sguardo vagamente inquieto, che fa da contrappunto alla smorfia di dolore della vittima, autoritratto, come il Golia delle altre due versioni, del Caravaggio.
Davide con la testa di Golia – Michelangelo Merisi, Caravaggio – 1607 – conservato nel Kunsthistorisches Museum di Vienna
Artemisia Gentileschi. Artista che ha saputo cogliere l’eredità pittorica di Caravaggio e che ha saputo “catturare” la luce e plasmarla con i suoi pigmenti per dar vita ad opere eterne.
Donna dal grande coraggio che ha saputo affrontare le asprezze della vita e tramutarle in energia creativa.
Ha saputo “indossare” i panni da martire, da carnefice da nobildonna senza mai rinunciare alla sua identità.
I suoi soggetti emergono da un’atmosfera tetra, con forti contrasti tra luci e ombre; predilige i temi alti, puntando su soggetti storici o sacri, enfatizzati proprio dalla tecnica del chiaroscuro.
Spiccano ritratti, autoritratti allegorici, scene di vita quotidiana e, soprattutto, scene bibliche, anche cruente come emerge nel famosissimo dipinto “Giuditta che decapita Oloferne”.
Giuditta che decapita Oloferne – Artemisia Gentileschi – 1620 – conservato nella Galleria degli Uffizi di Firenze
Questo dipinto mostra l’interesse di Georges de La Tour nelle varie fonti di luce. È un’opera di maturità del pittore, completamente tenebrista. La fonte della luce artificiale è esplicita, come nel caso della scuola di Utrecht e in particolare di Gerard van Honthorst: una candela. La fonte di luce forma bruscamente le figure, mentre il resto si immerge nell’oscurità. Interessanti ombre vengono create sulla parete di fondo, così come sul vestito del bambino e sul pavimento, quest’ultima prodotta dal suo sandalo. Il bambino tiene la candela con una mano, mentre ne mette un’altra davanti. Con grande maestria vengono rappresentate le ombre della mano destra di Gesù, così come il modo in cui la luce colpisce la mano sinistra, rendendo le dita trasparenti fra loro.
San Giuseppe falegname – Georges de La Tour – 1642 – conservato al Museo del Louvre a Parigi
Anche in scultura le opere sono concepite seguendo l’enfasi che la luce dona al materiale lapideo è l’esempio di Gian Lorenzo Bernini che nella sua Estasi di S. Teresa, concepisce la composizione in una cappella che ne esalta il senso di stupefacente misticismo.
Da una finestra, con i vetri gialli, pensata per rimanere nascosta dal timpano dell’altare, scende una fonte di luce che agisce dall’alto. Come un riflettore, conferisce un senso realistico alla irruzione sulla scena di un fascio di raggi in bronzo dorato; in questo modo la luce che scende sul gruppo, attraverso i raggi, sembra momentanea, transitoria e instabile rafforzandone la sensazione di provvisorietà e sospensione.
Estasi di santa Teresa d’Avila – Gian Lorenzo Bernini – 1652 – conservata nella Chiesa di Santa Maria della Vittoria, Roma
Antonio Biscaglia – Team OperaLuce – Beni artistici e storicil